Cose che leggo, guardo, ascolto, scrivo, dico e aspetto #6
Rassegna settimanale di articoli, film, libri, podcast e tutto ciò che può interessare la sicurezza nazionale e l’intelligence
Cose che leggo. Riflettori puntati sulla Munich Security Conference in corso. Si parla da ieri e lo si farà fino a domani soprattutto di Ucraina. Soprattutto dopo la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin che hanno concordato il prossimo inizio di negoziati. Di questi, sappiamo poco. A parte che gli Stati Uniti hanno preso l’iniziativa (gentile concessione di Putin a Trump, forse giocando con il suo ego) e hanno detto tre no all’Ucraina (che erano le richieste russe prima dell’invasione iniziata ormai quasi tre anni fa): non riprenderà il Donbass e la Crimea, non avrà un accordo di mutua difesa e non entrerà nella Nato.
Da leggere, vi consiglio: un utilissimo commentary su War On The Rocks; un sondaggio dello European Council on Foreign Relations sull’Europa sul “crepuscolo transatlantico”; il rapporto pubblicato a inizio settimana dalla Munich Security Conference che si focalizza sul mondo multipolare; la relazione annuale dell’agenzia d’intelligence estone per l’estero, sempre preziosa per via della geografia, della storia e della cultura del Paese baltico (non è lungo ma se non avete troppo tempo potete leggere il mio articolo).
Sulle riviste e sui giornali americani si parla ancora tanto – e lo si farà per molto tempo ancora – dell’impatto dell’amministrazione Trump(-Musk) sull’intelligence. Su Foreign Policy si parla dei problemi di sicurezza legati agli accessi garantiti al Dipartimento per l’efficienza governativa di Musk; stesso tema affrontato su The Atlantic; su Foreign Affairs, invece, si discute dell’importanza per gli Stati Uniti degli alleati anche in ambito intelligence (i cosiddetti “collegati”); su Linkedin, invece, Jen Easterly, ex direttrice dell’agenzia cyber americana, si è soffermata su uno scenario in cui ai Five Eyes (l’alleanza di intelligence che unisce da ottant’anni Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) si contrappongono i Four Eyes (Cina, Corea del Nord, Iran e Russia) grazie anche all’intelligenza artificiale in grado di abbattere molte barriere.
Cose che guardo. The Agency è una serie televisiva (ora su Paramount+) con protagonisti Michael Fassbender e Richard Gere. È il remake di Le Bureau con il bravissimo Mathieu Kassovitz (la quarta stagione parla di Russia, consigliatissima). Continuo a preferire l’originale, che considero la migliore serie sull’intelligence per rispetto della realtà e ritmo. Ma in The Agency si parla anche di Ucraina, e credo sia una prima volta dall’inizio della guerra russa d’invasione iniziata il 24 febbraio 2022.
Cose che ascolto. Ieri è uscita una nuova puntata del podcast “Fuori da qui” di Simone Pieranni (Chora Media). È dedicata all’Europa, che in questa fase sembra proprio il classico vaso di coccio. Qui su Spotify (ma c’è su tutte le piattaforme).
Cosa che scrivo. Parlando di Italia, invece… Questa settimana si è parlato di riforma dell’intelligence. Se ne parla da anni. L’ultima riforma è del 2007, con qualche ritocco cinque anni più tardi. La materia è delicatissima. Per questo, tutte le parti politiche sottolineano l’importanza di un consenso trasversale in parlamento per intervenire sull’architettura di sicurezza nazionale. Ne ho scritto qui su Formiche dopo le ultime dichiarazioni di alcune figure direttamente coinvolte nell’eventuale processo, come il sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, e Lorenzo Guerini, presidente del Copasir (il comitato parlamentare che vigila sull’attività dell’intelligence e sull’Agenzia per la cybersicurezza nazionale).
Ho scritto anche una cosa su una piccola ma importante novità negli Stati Uniti: la commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha annunciato la creazione di una nuova sottocommissione dedicata all’open source intelligence, a dimostrazione dell’importanza e del valore sempre più forti e visibili della raccolta informativa su fonti aperte per l’intera comunità d’intelligence del Paese.
Giovedì, Elon Musk è intervenuto al World Governments Summit a Dubai sostenendo che “l’intelligenza umana credo che sarà oscurata dall'intelligenza delle macchine”. Nello spionaggio questa frase si potrebbe leggere come la fine della human intelligence, ovvero della raccolta informativa “umana”, a favore delle soluzioni tecnologiche. A tal proposito, vi consiglio di leggere il discorso che Sir Alex Younger, capo del Secret Intelligence Service (o MI6) dal 2014 al 2020, ha pronunciato nel 2018 alla St Andrews University, e in cui ha detto: “Non credo che i nostri compiti di human intelligence cambieranno mai in modo sostanziale. Avremo sempre bisogno di capire le motivazioni, le intenzioni e le aspirazioni delle persone negli altri Paesi. Anche nell'era dell’artificial intelligence è necessaria la human intelligence, che anzi diventerà ancora più importante in un mondo più complesso”. Se, invece, volete leggere qualcosa su Musk e la sua influenza sull’intelligence americana, ecco un pezzo di qualche giorno fa su Radar.
Cose che aspetto. Al Copasir sono in programma due audizioni importanti alla luce di quanto accaduto nelle ultime settimane attorno alle “spiate” sul capo di gabinetto della presidente del Consiglio rivelate dal quotidiano Domani: martedì tocca a Bruno Valensise, direttore dell’AISI; mercoledì a Francesco Lo Voi, procuratore di Roma.
Nei giorni scorsi il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (ovvero l’organismo che coordina l’attività delle due agenzie d’intelligence) ha presentato un esposto alla Procura di Perugia, che ha avviato un fascicolo di indagine, lamentando la violazione del comma 8 dell’articolo 42 della legge speciale istitutiva dei servizi segreti. Per i denuncianti, piazzale Clodio, a cui era stata trasmessa un’informativa AISI classificata come “riservata”, avrebbe dovuto adottare le necessarie cautele per evitarne l'indebita diffusione. Vero è che, come ha scritto anche Repubblica, i nomi dei funzionari che avevano effettuato le verifiche non avrebbero dovuto proprio essere nel documento perché classificato come “riservato” e non come “segreto” o “segretissimo”.
Cosa che dico. Nei giorni scorsi ho risposto alle domande di Stefano Feltri per il suo Substack Appunti e il suo podcast Revolution per Rai Radio 3 (disponibile su tutte le piattaforme, qui il link per Spotify).
Cose che magari vi siete persi su Radar. Per rispondere a Stefano, avevo preso un po’ di appunti sullo spyware. Li potete recuperare qui. Altro tema della settimana su Radar è stato il naming names: perché è importante non utilizzare nomignoli per etichettare i gruppi hacker russi, cinesi, iraniani e nordcoreani (dibattito molto caldo negli Stati Uniti). A proposito, il Google Threat Intelligence Group ha pubblicato un rapporto che spiega bene perché il cybercrime è una questione di sicurezza nazionale.