Cose che leggo, guardo, ascolto, scrivo, dico e aspetto #12
Rassegna settimanale di articoli, film, libri, podcast e tutto ciò che può interessare la sicurezza nazionale e l’intelligence
“Non avere cose appuntate sull’agenda mi fa temere l’apocalisse per la prossima settimana”. Ve lo avevo scritto sabato scorso.
Non è arrivata l’apocalisse. Però, un bello scossone c’è stato. Se siete qui è probabile che sappiate già di che cosa si parla: di Jeffrey Goldberg, direttore della rivista The Atlantic, che ha raccontato di essere stato inserito per sbaglio in una chat sull’app di messaggistica Signal (che intanto è diventata tra le più scaricate al mondo) in cui diversi alti esponenti dell’amministrazione Trump (compresi JD Vance, il vicepresidente, Mike Waltz, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, e Pete Hegseth, capo del Pentagono) si scambiavano considerazioni ma anche informazioni riservate sull’attacco agli Houthi nello Yemen.
Mi perdonerete se non mi soffermo sulle parole di Vance contro l’Europa, anche perché ormai sappiamo benissimo cosa pensa questa amministrazione di noi.
Aggiungere Goldberg è stato un errore, certo. Ma non si sarebbe verificato se fossero stati usati i canali ufficiali – quelli che, tra l’altro, le agenzie governative hanno speso anni e risorse a sviluppare. Il ricorso a essi è cruciale per due ragioni: la sicurezza delle comunicazioni e l’accountability dei politici.
Partiamo.
Cose che leggo. Goldberg ha scritto due articoli. Perché al primo, pubblicato martedì, che potete leggere qui, l’amministrazione Trump ha risposto accusando lui e la rivista di aver ingigantito le cose. Nel secondo, che potete leggere qui, c’è la sua risposta, con tanto di screenshot della chat in cui Hegseth condivide dettagli ad alto livello di classifica sui bombardamenti. Ad aggiungere un po’ di pepe, Der Spiegel mercoledì sera ha rivelato che online si trovano, raggiungibili con i motori di ricerca comuni, i dati privati e le password di alti funzionari della sicurezza degli Stati Uniti, tra cui Hegseth, Waltz e Tulsi Gabbard, direttrice dell’Intelligence nazionale; il Wall Street Journal ha scoperto che alcune informazioni sugli obiettivi dei bombardamenti provenivano dall’intelligence israeliana, in particolare da una fonte umana, il che avrebbe spinto Israele a chiedere spiegazioni agli Stati Uniti. E ancora, Wired ha raccontato che Waltz ha lasciato pubbliche alcune informazioni sensibili sul suo profilo personale Venmo (piattaforma di pagamento online per scambiare denaro con gli amici, molto popolare negli Stati Uniti), tra cui una lista di “amici” e altri dettagli che potrebbero far gola a servizi di intelligence stranieri.
Cose che guardo. Sempre martedì la commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti ha ascoltato i vertici dell’intelligence in occasione della pubblicazione della relazione annuale sulle minacce alla sicurezza americana. Qui potete recuperare l’audizione, durata poco più di due ore (buona parte delle quali, come prevedibile, dedicate alla vicenda della chat). Qui, invece, c’è la relazione (erano anni che il cambiamento climatico non veniva citato come una delle minacce alla sicurezza nazionale americana). Se non avete il tempo di leggerla, potete dare un’occhiata al mio articolo su Formiche.
Cose che ascolto. Ho ascoltato una bella puntata di The Bulwark Podcast con ospiti: Michael Weiss, uno dei più bravi giornalisti in materia di sicurezza e intelligence, sulla vicenda Signal; Ben Smith, direttore di Semafor, sulla gestione di informazioni classificate trapelate da parte dei giornalisti (perché sì, da questa storia emerge che un giornalista, Goldberg, è stato molto più prudente dei vertici dell’amministrazione americana nel gestire informazioni delicate, con implicazioni anche sulla vita di cittadini americani); Annie Karni del New York Times sulla situazione al Congresso. Ve la consiglio. Potete ascoltarla qui (link per Spotify, ma c’è su tutte le piattaforme audio).
Cose che scrivo. Su Formiche ho scritto, con Emanuele Rossi, un lungo articolo sulle cosiddette “stazioni di polizia” cinesi in Italia: a gennaio c’è stato un tavolo tecnico bilaterale al Viminale e ne abbiamo parlato con Oriana Skylar Mastro (Stanford University) e Laura Harth (Safeguard Defenders, l'ong che ha denunciato l’esistenza di queste strutture). Potete leggerlo qui.
Ho scritto anche un corsivo su Pirelli, nella morsa tra Cina (l’azionista di riferimento è la società statale Sinochem) e Stati Uniti (mercato su cui l’azienda produttrice di pneumatici punta molto): credo che il caso dimostri come la definizione dei rapporti tra pubblico e privato stia diventando il tema principale della sicurezza nazionale oggi e per gli anni a venire. Potete leggerlo qui.
Cose che aspetto. Domani (cioè domenica) sarò ospite di Omnibus su La7, ospite di Frediano Finucci per parlare di difesa comune europea dalle 8 alle 9.
Cose che magari vi siete persi su Radar. Steve Witkoff, inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, ci vuole rassicurare: il leader russo Vladimir Putin non vuole conquistare l’Europa. Ma manca il punto: l’obiettivo dello zar è un altro, ovvero spaccare la Nato. Ne ho scritto qui.
Collegato a questo, c’è una cosa italiana: è partita l’Operazione Simpatia da parte di Mosca?
Qui, invece, il racconto della rocambolesca fuga – risolta da un pannolino sporco – di Oleg Gordievsky, l’ufficiale del KGB di più alto grado a disertare verso il Regno Unito durante la Guerra Fredda, morto il 4 marzo a 86 anni.