Un pannolino sporco salvò la spia fuggita dal freddo
Oleg Gordievsky è stato l’ufficiale del KGB di più alto grado a disertare verso il Regno Unito durante la Guerra Fredda. È morto il 4 marzo a 86 anni. Ecco la sua rocambolesca esfiltrazione
Della vita di Oleg Gordievsky, l’ufficiale del KGB di più alto grado a disertare verso il Regno Unito, morto il 4 marzo a 86 anni, ci sono tre momenti che mi hanno colpito: il reclutamento da parte dell’intelligence britannica; le modalità con cui è avvenuta la sua promozione a capo della sede del KGB a Londra; la fuga.
Next Stop Execution, la sua autobiografia, e The Spy and the Traitor dello scrittore Ben Macintyre vanno letti assieme per capire il ruolo svolto nella Guerra Fredda da Gordievsky. È probabilmente la più importante “spia che venne dal freddo” (piccola annotazione: John le Carré ha scritto quel capolavoro, La spia che venne dal freddo, nel 1963, ben 11 anni prima del reclutamento di Gordievsky e 22 anni prima della sua esfiltrazione).
Qui vi racconto brevemente la sua rocambolesca fuga.
È il 1985, l’anno considerato l’inizio della fine della Guerra Fredda, con lo storico vertice tra il neoleader sovietico Mikhail Gorbachev e il presidente statunitense Ronald Reagan che porterà, due anni più tardi, alla firma del Trattato INF per la messa al bando dei missili a raggio intermedio. Il KGB inizia a sospettare di avere nei suoi ranghi una talpa (talpa, mole in inglese, è un termine entrato nel gergo spionistico grazie al solito le Carrè e al suo libro Tinker Tailor Soldier Spy del 1974 pubblicato in italiano con il titolo La talpa).
È giugno. Gordievsky viene richiamato a Mosca e drogato e interrogato per cinque ore. Non gli viene mossa alcuna accusa, ma viene assegnato a un inesistente lavoro d’ufficio in un dipartimento non operativo del KGB. Lui, terrorizzato, capisce di avere solo due opzioni: la fuga o la pena di morte. “Se non fossi fuggito dal grande campo di concentramento dell’Unione Sovietica nel giro di poche settimane, sarei morto”, ha scritto nel suo libro di memorie Next Stop Execution.
Gordievsky si barrica nel suo appartamento di Mosca con dei mobili per ostacolare eventuali visite notturne del KGB. Toglie due libri di sonetti di Shakespeare dal suo scaffale e li immerge nell’acqua, rimuovendo le istruzioni rilegate in cellophane sigillate nelle copertine rigide. Teme che la sua casa sia piena di microfoni e videocamere del KGB. Allora, legge il piano di fuga fornitogli da MI6 a lume di candela: presentarsi all’angolo di una determinata strada, un martedì qualsiasi alle 7 di sera, con un sacchetto di plastica di Safeway (una catena di supermercati); aspettare abbastanza a lungo da essere notato; guardare negli occhi un uomo che porta una borsa di Harrods e che sta sgranocchiando qualcosa; la terza domenica successiva, passare un messaggio scritto, nella Cattedrale di San Basilio sulla Piazza Rossa, tramite brush contact (contatto “a spazzola”, usato per scambi senza fermarsi o parlare con il contatto).
Il primo tentativo fallisce. Il martedì successivo ci riprova: incrocia lo sguardo di un uomo che porta una borsa di Harrods e mastica una barretta di Mars. “Quando passò a quattro o cinque metri, mi fissò dritto negli occhi”, racconta Gordievsky. “L’ho guardato negli occhi gridando in silenzio: ‘Sì! Sono io! Ho bisogno di aiuto urgente!’”. Così si prepara ad abbandonare tutto, il suo appartamento e il suo conto in banca ma anche sua moglie e le loro due figlie.
La notte della fuga riesce a far perdere le sue tracce alla squadra che lo sorveglia per le vie di Mosca. Ha un biglietto di quarta classe, posto sopra in un letto a castella, partenza da Mosca venerdì alle 17:30. Per addormentarsi prende una doppia dose di sedativi. Si sveglia nel letto inferiore e scopre di essere caduto durante la notte. Trasandato, non rasato e sanguinante dalla tempia: la spia del KGB deve svanire nella folla, ma rischia di attirare l’attenzione delle guardie alla stazione. Ma continua il suo percorso: un altro treno, un autobus e l’autostop fino a una foresta dove deve nascondersi dietro una grande roccia in attesa della squadra britannica per l’estrazione. Arriva con oltre tre ore di anticipo al punto d’incontro. È da solo, con tante, tantissime zanzare.
Ma non sa che la macchina del Foreign Office si muove lentamente. Geoffrey Howe, segretario agli Esteri, racconta, nella sua autobiografia Conflict of Loyalty (1994), che sabato 20 luglio, due alti funzionari – uno del ministero degli Esteri e uno di MI6 – lo vanno a trovare alla sua residenza di campagna per avere il via libera all’Operazione Pimlico. Charles Powell corre in Scozia, al Castello di Balmoral per avere luce verde anche dalla premier Margaret Thatcher, che era ospite dalle Regina Elisabetta.
Il piano è il seguente: le spie britanniche arrivano a bordo di due vetture con targa diplomatica, accelerano poco prima di raggiungere il punto d’incontro al fine di seminare qualsiasi squadra di sorveglianza del KGB, si fermano vicino alla roccia – facendo sembrare di aver bisogno di una breve pausa – per poi far saltare Gordievsky nel bagagliaio e attraversare il confine verso la Finlandia. Gordievsky è disorientato, insanguinato e ormai tormentato dalle zanzare. I britannici arrivano con 15 minuti di ritardo, alle 14:45. Due uomini scendono dall’auto, anche quello della barretta Mars. Con loro ci sono le mogli. Gordievsky è nel bagaglio, suda, soffre di claustrofobia sotto una “coperta” in alluminio usata per contrastare eventuali rilevatori di calore a infrarossi.
“Per tutto il tempo pensavo: ‘Cosa succede se qualcuno apre il bagagliaio?’” ricorderà Gordievsky. “Sapevo che i britannici avrebbero dovuto rinnegarmi. Fingerebbero stupore e direbbero: ‘Per Dio! Una provocazione!’, sostenendo di non avere idea di chi fossi”.
Al confine tra Russia e Finlandia le due vetture vengono fermate da funzionari russi con un’unità cinofila. La moglie di un diplomatico ha l’idea: sfrutta lo stop come occasione per cambiare il pannolino del suo bambino. Lo appoggia sul bagagliaio dove si nascondeva Gordievsky, poi lascia cadere il pannolino sporco a terra per distrarre i cani dal suo odore. Le guardie, felici di mantenere le distanze, lasciano passare i veicoli.
A un certo punto la radio dell’auto passa dalla musica pop ad alto volume alla Finlandia di Jean Sibelius. Il bagagliaio viene aperto. “Vidi il cielo azzurro, nuvole bianche e pini sopra di me,” racconterò Gordievsky. “Grazie al coraggio e all’ingegnosità dei miei amici britannici, avevo sconfitto l’intera potenza del KGB. Ero fuori! Ero al sicuro! Ero libero!”.
Dagli archivi di Thatcher è emerso, declassificato nel dicembre 2014, uno scambio tra Powell e Howe. Il private secretary per la politica estera spiega al segretario agli Esteri che la premier concorda sul fatto che Londra non dovrebbe espellere le spie dei Paesi sovietici identificati da Gordievsky. Ma, aggiunge, “spera che siano tenuti sotto stretta osservazione”.
PS. Ho letto sulla stampa italiana, ma anche su quella inglese, che Gordiesky viene definito “double agent” o “agente doppiogiochista”. Beh, non lo è mai stato. Era un agent (agente), per la precisione un penetration agent (agente di penetrazione), di MI6 all’interno del KGB, di cui era un officer (funzionario). Se fosse stato un agente doppio, sarebbe stato un agente del Regno Unito ma che lavorava anche contro gli interessi britannici.