Roma 1986, l’operazione che ha detto al mondo che Israele ha l’atomica
Nel 1986 il Mossad rapì a Roma il tecnico Mordechai Vanunu, autore delle foto che confermarono l’arsenale atomico israeliano. Fu usato proprio a tal fine?
È il 30 settembre 1986, nel cuore di Roma. Con lui c’è una donna, che conosce appena. È convinto che si chiami Cindy, si presenta come una turista americana. Lui è Mordechai Vanunu, ex tecnico della centrale nucleare israeliana di Dimona, che ha appena rivelato al Sunday Times i dettagli – e soprattutto le foto – di quello che molti sospettavano da decenni: Israele ha la bomba atomica. Il giornale andrà in stampa a giorni. Lei, in realtà, è del Mossad. L’incontro è una trappola.
1985: la scintilla del dissenso
Nel 1985 Vanunu, tecnico del reattore di Dimona dal 1976, viene licenziato per questioni disciplinari e inizia una ricerca personale di senso: partecipa a incontri del Partito comunista israeliano, prova il mestiere di modello per studenti d’arte e – in novembre – si trasferisce a vivere con l’ostetrica americana Judy Zimmet. Dopo un breve tour in Israele, decide di intraprendere un viaggio che lo porta fino in Australia, dove lavora come lavapiatti, ottiene la licenza di tassista e si converte all’anglicanesimo. Proprio qui Vanunu raccoglie fotografie e dettagli tecnici sul reattore di Dimona, intuendo di detenere un’informazione capace di squilibrare equilibri strategici.
Le rivelazioni al Sunday Times
Il 5 ottobre 1986 il Sunday Times pubblica un’inchiesta basata sulle foto e le testimonianze di Vanunu, validate da esperti indipendenti come il fisico Frank Barnaby. L’articolo stima la produzione di plutonio necessaria a oltre cento testate e fornisce dettagli unici su centrifughe e arricchimento. In un contesto mondiale segnato dai negoziati SALT/INF tra Stati Uniti e Unione Sovietica e dalla proliferazione nucleare in Medio Oriente (Iraq, Iran, Libia), quel dossier senza firma ufficiale mette in luce l’esistenza di un arsenale segreto.
L’operazione del Mossad
Allora il Mossad organizza un’operazione sotto copertura prima della pubblicazione dell’inchiesta, avendo accertato con Vanunu cercava compagnia. Qui entra in scena Cindy (in realtà Cheryl Ben Tov, del Mossad). È usando lei e una classica “trappola al miele” che il servizio d’intelligence attira Vanunu a Roma. In un appartamento del centro viene sedato, immobilizzato e portato in taxi fino al porto di La Spezia. Da lì, a bordo della corvetta INS Noga camuffata da mercantile, viene riportato in Israele, dove affronta un processo per tradimento e spionaggio. Ha fatto il giro del mondo una fotografia scattata durante uno dei suoi trasferimenti per il processo che lo ritrae mentre mostra, attraverso il finestrino di un’automobile, la mano su cui aveva scritto “I was hijacked in Rome, Italy, 30.9.86” (Sono stato rapito a Roma, Italia, il 30 settembre 1986). Condannato a 18 anni di carcere (11 in isolamento), diventa l’emblema di una punizione esemplare ma visibile, che attira ulteriore attenzione sulle rivelazioni e rafforza la strategia di ambiguità.
La politica dell’ambiguità
Secondo Ari Ben-Menashe, ex dipendente dei servizi segreti militari israeliani, era stato l’editore del Daily Mirror, il controverso Robert Maxwell, e il direttore Nicholas Davies, entrambi considerati quantomeno vicini al Mossad, a denunciare Vanunu per aver rivelato al Sunday Times informazioni sul potenziale nucleare israeliano. Ma il tecnico, pur animato da convinzioni personali genuine, potrebbe esser stato inconsapevolmente utilizzato da Israele per veicolare indirettamente il messaggio nucleare. La forte reazione israeliana – il rapimento e il processo pubblico – non solo punì il dissidente, ma rese più evidente la serietà delle sue rivelazioni: un modo strategico per confermare l’esistenza dell’arsenale senza dichiarazioni formali. Israele, infatti, non ha mai firmato il Trattato di Non‑Proliferazione (TNP) e ha scelto la politica dell’amimut (ambiguità): né confermare né smentire il possesso di armi atomiche. Come osserva lo storico Avner Cohen in Israel and the Bomb(1998), la reazione clamorosa al leak ha paradossalmente rafforzato la politica di oscuramento, suggerendo che Tel Aviv non potesse correre il rischio di sminuire la portata del proprio arsenale.
Roma, teatro inconsapevole?
Non fu il rapimento a rivelare la bomba, ma ne confermò l’esistenza con forza: in un’epoca di trattative tra superpotenze e di proliferazione regionale, l’operazione segreta a Roma – preferita a Londra, dove Vanunu si trovava, perché il governo israeliano non voleva danneggiare i rapporti con l’esecutivo di Margaret Thatcher – divenne la conferma più plastica che Israele fosse una potenza nucleare silenziosa, proteggendo il proprio segreto senza mai un annuncio ufficiale.
Qui sotto potete ascoltare la puntata di 00Podcast, un progetto di Formiche.net per Intesa Sanpaolo che ho curato alcuni anni fa, su Vanunu.
Super chicca.