“Mala tempora currunt” e la Dgse punta sul know-how militare
Con il 32% del personale già composto da militari, il servizio francese cerca nuove risorse paramilitari per rafforzare le capacità di attacco e difesa contro le minacce ibride
Ogni anno, la Direction générale de la Sécurité extérieure (Dgse), il servizio di intelligence francese per l’estero, recluta oltre 150 militari. Lo farà anche quest’anno, nell’ambito del plan annuel de mutation, un programma rivolto a ufficiali e sottufficiali delle forze armate francesi interessati a intraprendere una carriera nell’intelligence. Tra marzo e maggio sono previste sei sessioni informative; i militari interessati devono iscriversi entro il 14 febbraio. Io, il link, te lo metto qui, magari sei un militare francese interessato a lavorare nell’intelligence – ma occhio, io li vedo, i clic; credo; in realtà non lo so, devo ancora capire bene come funziona Substack.
Mala tempora currunt
Le agenzie d’intelligence occidentali attribuiscono alla Russia una serie di attacchi recenti: dai piani contro aziende ucraine a Londra, al dispositivo esploso in un centro spedizioni in Germania a luglio, fino al rogo in un magazzino inglese. Questi attacchi sembrano far parte di una campagna ibrida per mettere pressione agli alleati di Kyiv, destabilizzandoli tramite operazioni mirate a colpire l’opinione pubblica e ridurre il sostegno all’Ucraina.
In questo contesto internazionale sempre più instabile, la Dgse punta a rafforzare le sue capacità operative. Il reclutamento di militari mira a fronteggiare la nuova minaccia alla sicurezza nazionale. Minaccia che è fluida, multidimensionale, asimmetrica e ibrida, per citare un intervento di un anno e mezzo fa di Elisabetta Belloni, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza dimissionario (mercoledì il prefetto Vittorio Rizzi prenderà il suo posto, come anticipato da queste parti alla vigilia della nomina ufficializzata giovedì da Giorgia Meloni, presidente del Consiglio).
Parigi, novembre scorso
A fine novembre, il direttore generale della Dgse Nicolas Lerner aveva avvertito che “la sicurezza collettiva dell’intera Europa è in gioco”. La dichiarazione, fatta durante l’anniversario dei 120 anni dell’Entente Cordiale che ha trasformato i vecchi rivali Francia e Regno Unito in alleati, ha confermato l’urgenza delle sfide comuni. Con Lerner c’era anche l’omologo britannico, Sir Richard Moore, capo del Secret Intelligence Service britannico (MI6). Ne avevo scritto qui.
La loro apparizione pubblica, non una novità per Sir Richard, aveva confermato gli sforzi delle agenzie d’intelligence occidentali – in particolare quelle britanniche e statunitensi – a mostrarsi in pubblico per contrastare le minacce e riaffermare quella che la legge italiana (la 124 del 2007) definisce “cultura della sicurezza” con l’obiettivo di rafforzare la resilienza delle democrazie.
L’importanza dei militari
Ecco che il know-how acquisito dai militari in ambito operativo rappresenta una risorsa cruciale per affrontare minacce che vanno dal sabotaggio alle operazioni di controspionaggio. Attualmente, i militari costituiscono il 32% dell’organico della Dgse, servizio che dipende dal ministero della Difesa francese (com’era in Italia per il Sismi, oggi Aise, fino al 2007, ovvero quando la riforma ha portato tutta l’intelligence italiana sotto la Presidenza del Consiglio). La percentuale continua a crescere, come si legge sul sito dell’agenzia, a dimostrazione dell’importanza strategica delle competenze paramilitari nell’affrontare le sfide globali