La Norvegia, non l’avevi considerata
Gli Usa contro Regno Unito, Canada, Norvegia, Nuova Zelanda e Australia per le sanzioni contro i ministri israeliani di estrema destra. Oslo, fuori dai Five Eyes, si allinea per varie ragioni
Ieri il governo degli Stati Uniti ha criticato, con una nota pubblica, le sanzioni imposte da Regno Unito, Canada, Norvegia, Nuova Zelanda e Australia contro due esponenti del governo israeliano, i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, due figure di spicco dell’estrema destra israeliana accusate di aver fomentato la violenza contro le comunità di palestinesi in Cisgiordania. “Rifiutiamo qualsiasi idea di equivalenza”, ha dichiarato Marco Rubio, segretario di Stato americano. “Hamas è un'organizzazione terroristica che ha commesso atrocità indicibili, continua a tenere ostaggi civili innocenti e impedisce al popolo di Gaza di vivere in pace. Ricordiamo ai nostri partner di non dimenticare chi è il vero nemico”, ha aggiunto. In realtà, l’obiettivo dichiarato delle sanzioni contro i due ministri israeliani è punire chi fomenta violenza e mandare un segnale forte: le violazioni di diritto internazionale hanno conseguenze personali. I cinque Stati non puntano a isolare lo Stato di Israele nel suo complesso.
Nelle stesse ore, però, il dipartimento di Stato si è affrettato a prendere le distanze dalle dichiarazioni dell'ambasciatore in Israele, Mike Huckabee, che aveva dichiarato che gli Stati Uniti non perseguono più l'obiettivo di uno Stato indipendente palestinese. “Penso”, ha risposto la portavoce del dipartimento, Tammy Bruce, rispondendo alle domande dei giornalisti, “che lui parli a titolo personale. Per quanto riguarda la politica americana vi invito a contattare la Casa Bianca”, ha aggiunto. Ai giornalisti che hanno fatto notare che Huckabee è stato nominato proprio dalla Casa Bianca e rappresenta gli Stati Uniti, la portavoce ha preferito non rispondere.
Non è la prima volta certo che i Paesi dell’alleanza Five Eyes di condivisione di intelligence (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e Australia) si dividono su specifiche questioni. Ma ciò è diventato più frequente con l’amministrazione Trump insediatasi a Washington. Un disallineamento politico non implica direttamente rallentamenti nella condivisione di intelligence – anche se, va detto, il tema è da mesi sulla stampa internazionale, con sottolineature di funzionari occidentali, in particolare europei, sull’imprevedibilità dell’amministrazione Trump e del suo approccio transazionale.
In questo specifico caso, al posto degli Stati Uniti c’è la Norvegia. Guai, però, a pensare che il Paese scandinavo possa sostituire la capacità d’intelligence degli Stati Uniti. Il suo peso è quasi tutto diplomatico. Non bisogna dimenticare, infatti, gli sforzi diplomatici norvegesi per gli accordi di Oslo (la capitale norvegese) del 1993 e del 1995 sul conflitto arabo-israeliano.
Da storica mediatrice, la Norvegia è diventata uno degli Stati europei più critici verso il governo israeliano e la sua risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Per esempio, con Spagna e Irlanda ha riconosciuto un anno fa la Palestina come Stato indipendente. È stato il primo Paese europeo a sostenere pubblicamente il procuratore della Corte penale internazionale quando questi ha avviato procedimenti contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant. Si è poi unita al Sudafrica nella sua istanza alla Corte penale internazionale contro Israele, presentando una memoria alla Corte. Israele ha reagito rifiutando una visita del ministero degli Esteri, Espen Barth Eide, e revocando lo status diplomatico a otto diplomatici norvegesi che operavano come rappresentanti presso l’Autorità palestinese.
A restituire ancor di più il senso politico della vicenda, che vede il Regno Unito al centro – e la volontà di Londra di coinvolgere Oslo dice tanto della prima, forse anche più che della seconda –, è un evento della scorsa settimana alla Bush House del King’s College London. Titolo: “Anglo-Norwegian intelligence cooperation: how we got here”. A introdurre i lavori: Lord Simon Stevens, presidente del King’s, e il professor Wyn Bowen, che dirige la scuola di studi strategici della prestigiosa università londinese. A parlarne: Sir Richard Moore, capo del Secret Intelligence Service (o MI6), il servizio segreto britannico per l’estero, e il suo omologo norvegese, il viceammiraglio Nils Andreas Stensønes, direttore dei servizi segreti norvegesi (Etterretningstjenesten), struttura dipendente dal ministero della Difesa (mentre il SIS è posto sotto il Foreign Office, ovvero il ministero degli Esteri). Richiamando la storica cooperazione sin dalla Seconda guerra mondiale, i vertici delle due agenzie hanno ribadito in un intervento congiunto l’importanza di un’intesa solida contro le minacce comuni. Tra questi, l’aggressione russa dell’Ucraina con il sostegno della Cina e gli estremismi in Medio Oriente e Africa (qui un resoconto dell’evento).
Questo mostra come, pur non essendo parte dell’alleanza Five Eyes, la Norvegia mantenga una stretta partnership operativa e di analisi con il Regno Unito e altri alleati, confermando motivazioni pragmatiche oltre che valoriali per allinearsi alle sanzioni. Resta da vedere come, in un mondo sempre più frammentato, evolveranno le alleanze tradizionali – dai Five Eyes fino ai formati europei – e quale impatto avranno queste dinamiche sulla stabilità e sui processi di pace in Medio Oriente.